Una strategia di marketing non può non tenere conto di una strutturata azione di advertising
Le azioni pubblicitarie online e offline sono fondamentali e vanno pensate, strutturate e comprese, ma soprattutto analizzate e ottimizzate, con costanza e attenzione. Lucia Emiliani è una Advertising Strategist completa, con una formazione di marketing importante, l’elemento chiave per la sezione Advertising di Delion Marketing Agency, di cui è socia. Le campagne impostate nei piani strategici di Marketing Strategy Solutions sono accompagnate dalla sua esperienza e dalla sua consapevolezza sui budget, i risultati e i mercati.
Per questi motivi l’abbiamo intervistata in diretta Facebook, andando a comprendere cosa abbia significato e cosa significhi fare campagne online durante un periodo delicato come quello del Coronavirus.
Iniziamo con una provocazione: aprire un ecommerce ai tempi del Coronavirus. Cosa ne pensi? Sappiamo che hai una tua opinione molto chiara al riguardo. Ti va di raccontarcela?
Partiamo da un dato: l’ecommerce è un negozio vero e proprio. A nessuno verrebbe in mente di aprire la serranda di un negozio per la prima volta senza che nessuno ne conosca l’esistenza o passi davanti alla sua vetrina. L’ecommerce come qualsiasi altra attività commerciale per vendere ha bisogno di essere conosciuto dalle persone. Se è vero che nel periodo del lockdown le persone hanno acquistato di più online, è anche vero che lo hanno fatto su siti che già conoscevano. Un ecommerce non si improvvisa, non c’è solamente il front end, o la parte visuale: ci sono da gestire tutta una serie di attività molto complesse come l’approvvigionamento delle merci, la distribuzione, la selezione dei prodotti giusti, le strategie di prezzo. Solo alla fine si può iniziare a pensare alla vendita.
Credo che chi avesse avuto un e-commerce prima del covid19 può aver tratto beneficio dal lock down. Chi invece si è improvvisato temo abbia speso male i propri soldi. Il mio consiglio per chi avesse deciso di aprire nei mesi scorsi è quello di iniziare a pianificare bene le attività aziendali e di marketing, spendendo una parte del budget anche in attività di branding: solo così l’ecommerce potrà reggersi.
Lucia, una domanda chiave, per questo periodo: Covid e investimenti pubblicitari. Com’è andata? Cosa succede in questi momenti? Si ferma tutto?
Occorre fare una distinzione tra il mercato B2B e B2C. Per il primo direi che in molti casi si è fermato tutto; per il secondo no, anzi in molti casi c’è stato un incremento di lavoro.
In un primo momento la reazione dell’imprenditore al lockdown è stata “fermiamo tutto”, cambiando poi idea nel momento cui le vendite andavano non solo bene ma, in molti casi, meglio di prima.
In molti settori del B2C gli investimenti sono aumentati a seguito di un forte incremento della domanda, alla quale i grandi player non sono riusciti a farvi fronte. Mi riferisco soprattutto ai beni alimentari e di prima necessità. Fare la spesa online nei supermercati più conosciuti era praticamente impossibile con tempi di attesa di almeno 15 giorni. Si è assistito quindi ad un incremento degli acquisti online in siti medio piccoli e, di conseguenza, le PMI hanno incrementato gli investimenti pubblicitari.
Ci raccontavi che Amazon si è tolto di mezzo e quindi… ci sono stati più spazi?
Amazon e molti altri big player non sono riusciti a far fronte all’incremento della domanda. Alcuni settori merceologici Amazon li ha chiusi, su molti altri non garantiva le spedizioni in tempi certi. Questo l’ha portato a non pubblicizzare più molte categorie merceologiche e lo spazio lasciato è stato subito preso da piccole e medie aziende. Si è assistito ad una frammentazione dell’offerta attraverso i vari canali pubblicitari, che ha portato una maggiore visibilità per le aziende che ne hanno fatto uso.
Siamo concreti. Non è il problema del Coronavirus o delle campagne quello che ha flagellato gli ecommerce. Parliamo ad esempio di logistica, consegne, spedizioni. Si va oltre l’advertising, ma ha quindi senso con questi limiti, fermarlo? Cosa si può fare?
L’unica cosa da fare è comunicare con il cliente e dirgli che l’azienda lavora e che lui potrà continuare a comprare sul sito. Le persone devono essere rassicurate: non compro se non ho la certezza che tu sia in grado di spedire il mio acquisto.
L’errore più grande da parte di molte aziende è stato quello di far finta che l’emergenza coronavirus non ci fosse. Molti siti infatti non avevano nessun banner in cui si diceva che l’azienda era in grado di spedire, oppure, che le spedizioni avrebbero subito dei ritardi.
L’utente che approda sul sito ha bisogno di sapere che il sito funziona e che spedisce regolarmente. Noi abbiamo consigliato in questo senso tutti i nostri clienti, poiché si sarebbe rischiato di far arrivare persone che poi, nel dubbio, non avrebbero comprato. Devo dire che tutti hanno seguito il nostro consiglio e questo tipo di comunicazione ha sicuramente agevolato le vendite e il ritorno sugli investimenti pubblicitari. C’è stato anche chi, oltre a comunicare che l’azienda lavorava, ha anche creato delle offerte promozionali per aiutare i clienti durante tutto il periodo della quarantena come l’abbassamento della soglia minima di acquisto per ricevere la merce con spedizione gratuita.
Ti va di raccontarci qualche caso studio e qualche buon esempio di risultati ottenuti?
Si, ci sono stati casi in cui, come nel settore della vendita di attrezzature per palestre, siamo passati da un ROAS del 1000% al 10.000%. Altri settori che sono andati particolarmente bene sono l’alimentare e l’attrezzatura per cucina. Voglio precisare che si tratta di siti che hanno lavorato molto sul proprio posizionamento di brand. Questo ha portato i suoi frutti in un periodo in cui la domanda è aumentata. In sostanza, gli e-commerce che hanno lavorato si sono saputi conquistare la fiducia del consumatore.
B2B/B2C, chi è stato premiato in questo periodo?
Molte nostre aziende che hanno saputo comunicare bene, sono state premiate sia dai loro clienti abituali, sia da una quantità considerevole di nuovi clienti. Chiaramente il mercato B2B è quello che ha sofferto di più, soprattutto per quei settori dove la presenza fisica è fondamentale. Penso, ad esempio, a chi fornisce materiali per fiere e meeting, al settore turistico o a chi offre servizi medici specialistici: i dentisti, tanto per dire, sicuramente non hanno passato un bel periodo.
Ci sono stati anche settori in cui non è cambiato nulla. Mi riferisco al mondo del software e della vendita di beni immateriali online. Fortunatamente lo smart working ha funzionato e le aziende hanno continuato a lavorare: quindi, non si sono registrati cali nella domanda.
Il settore turistico, invece, l’advertising lo ha interrotto. Cosa dovrebbe fare un operatore di questo ambito, ora?
Penso che l’azienda dovrebbe spostare la comunicazione più su aspetti essenziali, che prima venivano dati per scontati, quali la pulizia e l’igiene della struttura allo stesso prezzo o con poche maggiorazioni.
In questo momento si sta assistendo, invece, ad un aumento generalizzato dei prezzi a seguito della riduzione della capacità ricettiva delle strutture: se l’anno scorso un hotel poteva ospitare 100 clienti oggi ne può ricevere solo 50. Ma l’aumento dei prezzi è un’arma a doppio taglio, perché se è vero che con tre clienti faccio il fatturato di 10, è anche vero che molti non saranno disposti a pagare quelle cifre. Quindi, andranno a fare le vacanze altrove o non ci andranno proprio. In sostanza, si rischia di perdere il proprio cliente. Il mio suggerimento è di non modificare troppo i prezzi, oppure di giustificarli con servizi in più. È vero, il settore turistico è quello che soffre di più per l’emergenza covid. Ma occorre ragionare sul lungo periodo al fine di mantenere i propri clienti anche quando sarà finita l’emergenza.
Una curiosità. Si è parlato tanto di fidelizzazione e branding. Si può fare fidelizzazione con l’advertising online? Cosa suggerisci o hai suggerito in questi periodi?
In questo momento l’aspetto più importante è quello della rassicurazione. Ci siamo trovati di fronte ad un periodo di incertezza, dove non si dava più niente per scontato, tanto meno i servizi forniti dai siti e-commerce. Quindi, comunicare al cliente che l’azienda era aperta e che continuava a spedire è stato sicuramente importante sia per l’acquisizione di nuovi clienti, sia per il mantenimento di quelli già acquisiti. I settori più delicati sono sicuramente quello turistico e quello medico per i quali la comunicazione deve e dovrà essere basata sulla rassicurazione più che per gli altri. Se prima del covid le persone erano più interessate ad altri aspetti del servizio, come l’orario di appuntamento per una visita medica, ora sono molto più attente alla sicurezza e all’igiene di una clinica o struttura ricettiva. La comunicazione deve iniziare a porre fortemente l’accento sugli aspetti rassicurativi, che prima venivano ignorati o dati per scontati. Una cattiva recensione sulla pulizia di un Hotel oggi può far perdere molti più clienti di quelli che si sarebbero potuti perde prima dell’emergenza coronavirus.
E veniamo a un tema scottante. Il budget. Come definisci un budget di una campagna online? Si basa tutto sulla disponibilità del cliente? Perché sarebbe sempre meglio se il cliente non decidesse di comprare campagne online un tanto al kg?
Il budget è forse il tema più scottante quando si approccia una strategia con un nuovo cliente. Senza uno storico a disposizione è difficile stabilire un ritorno sull’investimento, il quale dipende dall’ecosistema di marketing che l’azienda ha saputo mettere appunto nel tempo. Prima di dire cose del tipo: “Con questo budget a disposizione puoi ottenere x” occorre vedere: quanto costa fare pubblicità nel settore richiesto, chi sono i concorrenti, quanto sono ricercati i prodotti, la marginalità media che ha l’azienda per ogni ordine ricevuto ecc. Ci sono casi in cui, se non si ha a disposizione un certo tipo di budget, è meglio non fare campagne pubblicitarie. La moda, ad esempio, è uno di quei casi in cui se non si hanno almeno €500 al giorno è meglio lasciar perdere. In questo, come in altri casi, consiglio di valutare altri canali di vendita come gli aggregatori o Amazon.
Campagne adv e ripartenza, anche in un momento particolare come quello estivo. Cosa cambia? Cosa è necessario fare?
Per i settori che non hanno lavorato a causa dell’emergenza covid, è necessario mettere in campo strategie di comunicazione e pubblicitarie in grado di dare massima visibilità all’azienda e di far recuperare un po’ di fatturato. Sarà importante intercettare e anticipare i bisogni del cliente anche attraverso survey. Una volta compresi questi, occorrerà attuare politiche di prezzo adeguate e ribilanciare gli investimenti sui prodotti più profittevoli. Ciò consentirà alle aziende da un lato, di non perdere il proprio cliente offrendogli il prodotto ad un prezzo vantaggioso; dall’altro, di intercettare nuovi clienti investendo più budget pubblicitario su prodotti che i clienti stessi hanno indicato nella survey come necessari. Oppure, se dalla survey è emerso un calo delle quantità di acquisto di determinati prodotti, potrebbe essere utile investire di più su questi.
Anche se per molte aziende sarà impossibile tornare ai fatturati dell’anno precedente, sarà importante mettere in atto politiche di marketing che agevolino i clienti acquisiti a riacquistare- anche tramite offerte e promozioni mirate, e dove possibile, cercare di acquisire nuovi clienti.
E infine… Campagne transazionali e campagne di Brand, come si sostengono a vicenda?
L’advertising su Google non è magico, non fa vendere improvvisamente. Può coadiuvare le vendite, questo sì, e fare in modo che le persone trovino l’azienda nel modo più economico possibile. L’ottimizzazione delle campagne non è altro che questo: individuare dei prodotti interessanti per il cliente e per l’azienda e capire quali sono i canali migliori per venderli nel modo più efficace ed economico possibile. Ma questo chiaramente non basta: è il sito che poi porta le persone all’acquisto vero e proprio. Se ha una user experience pessima e non è leggibile da google, l’utente difficilmente concluderà una transazione. Ultimo, ma non per importanza, è l’aspetto pubblicitario legato al branding. Più si è investito sul brand, più l’azienda sarà conosciuta, meno costerà vendere. La conoscenza del brand è fondamentale: quando l’utente già conosce un’azienda avrà meno bisogno di informazioni: se l’offerta è buona, non avrà problemi a comprare. Questo produrrà meno clic sull’annuncio e quindi una spesa pubblicitaria più contenuta per vendere un prodotto/servizio. In sostanza, la conoscenza del brand agisce come velocizzatore di valore, poiché facilitando il riacquisto nel tempo da parte del cliente consente di arrivare prima al break even point. Più frequenti sono gli acquisti prima si azzerano i costi di acquisizione, e di conseguenza, prima arrivano i guadagni.
Capitalizziamo, ragioniamo, testiamo, verifichiamo. Questo è l’approccio, se non erro. Me lo confermi? Quale cosa vorresti consigliare (anche spassionatamente…) agli imprenditori che fanno advertising online o che lo vogliono fare?
Occorre innanzitutto testare il piano marketing per vedere se la strada intrapresa è quella giusta e solo dopo partire con gli investimenti. Il mio consiglio è di diffidare delle mode del momento. Penso, ad esempio, a quanti dicono di fare assolutamente pubblicità su mobile perché secondo Google le persone cercano informazioni dal cellulare. Solo analizzando bene la natura del business si potranno individuare i canali più efficaci per la vendita e la conoscenza del marchio. Senza un piano marketing con azioni coordinate a sostegno dell’advertising, e più in generale del marketing operativo, difficilmente si vedranno i benefici dell’investimento pubblicitario.
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