Riparte tutto dal Brand. Mai, come in questi giorni, se ne parla, è sulle bocche di tutti. C’è chi dice che si deve sviluppare il Branding dell’azienda e chi afferma di concentrarsi sul personal branding. C’è chi inneggia alle azioni di Brand Positioning e chi stima le Campagne di Brand Awareness. Ma perché, tutto a un tratto, uno dei capisaldi del marketing, costantemente bistrattato nell’epoca della comunicazione online, è tornato agli albori, facendo parlare di sé anche le cronache? Vediamo di comprenderlo insieme, facendo un viaggio nel Brand e nel suo significato, nella differenza tra Brand e marca, brand e marchio, logo, immagine, management e identity (che per scrivere questo articolo ho scoperto che molti la chiamano “brand identy” 🙁 ).
Brand: cos’è. Definizione.
Il Brand o, per tradurlo in italiano, (anche se non proprio letteralmente) la “marca“, è, secondo l’American Marketing Association,
“un nome, termine, segno, simbolo o disegno, o una combinazione di questi elementi, che ha lo scopo di identificare i beni e servizi di un venditore o gruppo di venditori, differenziandoli da quelli della concorrenza”
Kevin L. Keller, nella sua “Bibbia” del Brand, dice che “una marca definisce il grado di effettiva consapevolezza, reputazione e rilievo che caratterizza il prodotto da essa identificato rispetto agli altri prodotti esistenti sul mercato.” Continua sostenendo che mentre per la AMA il brand si riduce in qualche modo alla scelta del nome e del logo, nella visione di chi opera attraverso attività di brand positioning e awareness, il Brand ha altre sfaccettature che non si riducono alla simbologia o al naming.
Riprendendo in mano i manuali di teoria del Brand, sono molte le sfaccettature che si danno a questo concetto. Che si voglia chiamarlo come Grizzanti “entità concettuale che evoca un insieme di valori precostituiti, definendo il posizionamento sul mercato” o che si voglia riprendere Chernev quando afferma che “il Brand avvantaggia i clienti creando un valore che va oltre i prodotti e servizi caratteristici dell’offerta”, torna tra le affermazioni più significative rispetto al brand quella di David Ogilvy:
“Qualunque sciocco può inventare un business, ma ci vogliono genio, fede e perseveranza per creare un brand.”
Un Brand è dunque una serie di elementi, concreti e intangibili, che si formano all’interno di una proposta di valore chiara, definita e coerente, per raggiungere la mente del cliente e definirne e influenzarne le abitudini di acquisto.
Che vi piaccia o meno la definizione che abbiamo voluto darne, ne troverete tante altre nei volumi citati, ma anche all’interno del volume dello stesso Grizzanti, che ha interrogato su questa definizione alcuni dei marketing manager di note aziende italiane (li trovate nelle prime pagine del libro).
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Brand: dove nasce? La storia.
Il Brand, o la marca, nascono nella notte dei tempi. I più richiamano il Brand estraendolo dalla parola inglese brandr, ovvero bruciare, attribuita alla marchiatura del bestiame. In realtà, la marchiatura ha una storia ancor meno romantica e si usava già nella tratta degli schiavi nel periodo coloniale. Se vogliamo vederla in modo più completo, senza andare a ritrovarci nelle vicende americane, possiamo richiamare la storia romana. In epoca classica lo schiavo veniva marchiato a fuoco, se fuggiva, con le parole che ne identificavano la gravità della fuga: FUG (fugitivus), KAL (kalumniator) o FUR (fur=ladro).
Tolto il romanticismo alla definizione di marca e marchio, sta di fatto che apporli consentiva di identificare il soggetto, in tempi più recenti anche sotto una specifica proprietà. La marca e il marchio apposti su una confezione o un prodotto, di fatto, definiscono chi ha realizzato quel genere specifico.
Branding: la strategia per la creazione di una marca
Non fermiamoci alle definizioni, che sono necessarie per identificare un ambito e renderci allineati nei concetti, ma devono per forza, oggi, con le strategie di marketing anche in ambito digitale, adattarsi a nuovi contesti e interlocutori.
Il branding è un processo, un percorso, un iter specifico che ci guida nella creazione del valore di un’azienda e dei suoi prodotti.
È composto dell’identità della marca, del suo valore e delle azioni necessarie per diffonderli. Perché, alla base della costituzione di un Brand, vi è innanzitutto la strategia, che possiamo teorizzare all’interno del Brand Positioning.
Brand Positioning
Il positioning è un modello mentale per descrivere come operiamo le nostre scelte quando dobbiamo valutare un Brand. Almeno secondo Marco De Veglia, definito come il padre del Brand Positiong italiano. L’obiettivo del Brand Positioning è dunque quello di posizionare il Brand. Dove? Nella mente del cliente. Quando si parla di posizionamento viene facile riprendere Al Ries e Jack Trout che nel loro Positioning, The Battle for your mind (lettura fondamentale per chi si occupa di Branding) definiscono una nuova dimensione per il marketing, in cui la vera sfida è poter differenziarsi per conquistare la mente del cliente, penetrarvi attivamente e, se possibile, rimanerci.
Come si posiziona un brand nella mente del cliente?
Un tempo c’era uno spazio diverso da quello odierno nella testa del nostro cliente. In un’ipotetica visione del suo processo logico, il consumatore aveva almeno tre riferimenti per uno stesso bisogno, prodotto o concetto. Uno di questi rappresentava in genere il Brand leader, mentre gli altri si potevano definire, a loro volta – citando Adam Morgan – Brand challenger. Oggi, proprio Al Ries e Jack Trout hanno ridefinito questo assioma, assoggettandolo alle “montagne di categoria” (come lo ha riassunto sempre De Veglia) la nuova visione sul posizionamento di marca. Ognuno di noi, intesi come consumatori, abbiamo spazio, in un contesto tempestato di informazioni e comunicazioni, per un solo Brand leader, nella nostra mente.
Ciò non dipende solo da una scarsa capacità di posizionamento dei Brand, ma principalmente dalla mente umana che, come organo complesso, ragiona per emozioni e cerca sempre di facilitarsi il lavoro (traendo spunto dal neuromarketing). Se, infatti, un cliente ha chiaro nella mente un Brand che risolve un determinato problema, la mente cercherà di facilitarne la scelta e il richiamo. Sia chiaro, non sono solo le emozioni che generano la scelta, serve – come sottolinea Trout, citando la psicologa Carol Moog – una valida ragione per cui acquistare il prodotto.
“Se la gente pensa che voi abbiate un messaggio importante da trasmettere, in genere aprirà gli occhi o le orecchie in modo da recepire ciò che avete da comunicare.”
David Ogilvy torna sulla questione definendo che non è il prezzo la discriminante vincente (ma l’argomento prezzo, anche rifacendosi a Porter, merita un capitolo a parte). Se abbiamo nella mente di poterci differenziare e vincere il mercato con un Brand che richiami nella mente del cliente il concetto di offerta, siamo posizionati alla stregua “di ogni cretino” (sempre citando Ogilvy). Sono “le aziende che dedicano la loro pubblicità alla costruzione di un’immagine positiva , del profilo più accattivante per la loro marca, quelle che otterranno la maggior quota di mercato, con i profitti più elevati”.
Brand o non-brand: è possibile posizionarsi senza un brand?
Naomi Klein uscì qualche anno fa con il libro No Logo (1999) in cui scatenò il movimento “No Brand”. Il suo scopo era denunciare le aziende che, complice il profitto a tutti i costi, sfruttavano sistemi produttivi deboli per ottenere prodotti a basso costo di manodopera, con condizioni decisamente svantaggiose e fuori da ogni tollerabilità umana dei lavoratori. Ahinoi, per molti Brand, in particolar modo del settore calzaturiero, questa storia non è cambiata.
Ma ha senso avere un prodotto senza logo? Ci ha provato, sulla scia del movimento, il rivenditore giapponese Muji, oggi presente in Italia con alcuni shop tra Bologna e Milano. Di fatto, l’ossimoro è che pur non avendo un brand, è esso stesso un portatore di valori, che identificano appunto il Brand.
Il Brand: marchio o marca?
Quando si parla di terminologia del marketing e della comunicazione, spesso si fa tanta confusione. I concetti americani che oltreoceano sono ben consolidati nei processi aziendali, e là si esprimono con una o due parole, qui in Italia trovano talvolta difficile applicazione. Succede anche per il Brand e il Brand Positioning. Tradurre brand con marca è limitante e in alcune occasioni fuorviante.
Il concetto di Branding si dipana infatti nella Brand Identity, che ha sfumature molto più ampie e comprende una serie di attività e azioni specifiche per far crescere l’awareness (di nuovo un termine preso dagli americani) che se tradotto letteralmente con “consapevolezza” poco dice di cosa faccia davvero questa parte della strategia di posizionamento.
Possiamo comunque assoggettare la meno poetica parola marca a Brand mentre il marchio ne è la rappresentazione testuale e visiva. Il marchio è anche l’elemento che viene depositato presso gli organi competenti per proteggerlo rispetto al mercato.
Marchio e logo
Il marchio racchiude in sé elementi visivi e testuali. Il logo, se lo intendiamo nel suo significato, è un’abbreviazione, che deriva dalla parola logotipo, di cui assume le due identità: logos, ovvero parola, e tipo, ovvero il carattere. Come sottolinea nuovamente Grizzanti, in questo senso parlare di logo, tecnicamente, significa disquisire di un elemento tipografico della marca.
In realtà, nel tempo, il logo ha preso altri significati e se il marchio, convenzionalmente, è il complesso degli elementi, il logo è spesso definito come l’elemento grafico caratterizzante. Per questo, pensando a un logo, ricordiamo la mela morsicata di Apple, o la virgola di Nike, o ancora la M di McDonald’s.
Brand Name: come si sceglie?
Scegliere un nome per la propria attività non è cosa semplice, specie ai tempi di internet. Mentre un tempo, con la scarsa diffusione mediatica dei brand, in particolar modo di quelli che operavano a livello locale, poteva capitare che vi fossero molte attività con lo stesso nome (basti pensare agli hotel della Riviera Romagnola…), oggi avere un nome proprio e identificativo è estremamente necessario, oltre che legalmente tutelante.
Ci sono diverse strategie per scegliere un brand name, una di queste è quella che operiamo in Marketing Strategy Solution, che coinvolge diverse figure, interne ed esterne all’azienda, fra cui creativi, tecnici informatici e legali.
Scegliere il nome della propria azienda significa mettere sulla sua carta d’identità un elemento che dovrebbe perdurare nel tempo, fissarsi nella mente del cliente e trasmettere dei valori. Non è una cosa che si può cambiare in fretta, non è una cosa che andrebbe ridefinita nel tempo: si sceglie, è quello, si fa funzionare con l’adeguata strategia di marketing, fine.
Il compito è arduo, la creatività non basta. Quando ci si interfacciava con le tradizionali agenzie di comunicazione la scelta del brand name era affidata esclusivamente al copywriting creativo. Questo periodo è stato superato e il Brand Naming è quasi una branca del Marketing, anche se ancora poco esplorata e non sempre scientificamente efficiente.
Brand Image: l’immagine dell’azienda
Scegliere il nome, il logo, la rappresentazione visiva completa dell’azienda, non è solo questione di logotipo, caratteri e naming, riguarda la percezione che i nostri clienti avranno di noi. L’immagine aziendale passa anche attraverso l’applicazione del Brand nei diversi contesti, la sua corretta diffusione e l’uso etico dei suoi elementi, che devono arrivare nel modo più vicino alle nostre intenzioni anche sul mercato.
Brand Manual
Nasce per questo il Brand Manual, un vero e proprio libro di istruzioni sull’uso corretto del marchio e della marca. In alcuni contesti aziendali il Brand Manual riesce a inglobare anche le modalità con cui il marchio può essere usato dai manager, nei contesti pubblici in cui l’azienda si pone. Il Brand Manual di Ferrari, di cui ho avuto la fortuna di sentire degli accenni, dicono includa anche tutte le applicazioni del brand e il suo utilizzo in contesti ufficiali, anche da ogni singolo dipendente che lo indossa (da un test drive alla Formula 1).
Il Brand Manual è uno strumento che si è visto sempre in chiave tecnica, narrativa e descrittiva: metteva in luce come applicare il marchio aziendale in diversi contesti. Oggi si integra sempre di più con la Corporate Identity, che ingloba la Corporate Image.
Corporate Identity e Corporate Image
Corporare Identity e Corporate Image sono due assunti dello stesso percorso. L’uno spiega in genere quale siano le caratteristiche aziendali e il valore del Brand estrinseco ed intrinseco all’azienda, l’altro è di fatto un nome che può sostituirsi alla Brand Image. Magagnino e Serenelli vedono i due termini come sinonimi e spiegano che “la visibilità di un marketing mix passa attraverso l’immagine che l’azienda comunica di sé attraverso la struttura estetica degli stampati, della pubblicità, delle iniziative di PR, etc., oltre che naturalmente dal design dei prodotti o dal particolare stile dei sevizi offerti”(8).
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Corporate Identity
Si tratta dell’identità aziendale, connessa con i suoi elementi, siano essi tangibili o no. Concentra in sé ciò che si vuol far vedere all’esterno in modo concreto oppure indotto. Definisce le emozioni, i pensieri, le caratteristiche visive che si fissano nella mente dei consumatori influenzandone le scelte.
Estremamente connessa al posizionamento, ai valori, alla vision e alla mission aziendale, si avvale anche degli elementi visivi del Brand, ma li amplia per crearne il concentrato di sfumature che poi il marchio porterà con sé.
La Corporate Identity si può tradurre in un documento complesso, in una presentazione, che va condivisa con tutti i livelli aziendali, non solo quelli esterni. Una Corporate Identity che funziona è condivisa con tutta l’azienda. La corporate Image fa parte della Corporate Identity, perché studia il modo in cui avvengono i suoi effetti sul mercato e sugli stakeholders.
Corporate Image
Come dicevamo, si tratta di un sinonimo di Brand Image che identifica la visione che gli stakeholder hanno dell’azienda o della marca. Include tutte le visioni associate alla marca, aiuta a comprendere come venga percepita all’interno e all’esterno. Viene supportata, nei tempi moderni, dalle strategie di feedback e referral e dalle survey che si possono mettere in atto per comprendere come i clienti vedano quella determinata azienda o prodotto.
In tempi recenti è nota la situazione delicata di Barilla che, a causa di uno scandalo sul grano canadese, aveva assunto una storpiatura della sua tradizionale immagine, quella della pasta degli italiani. Galeotto fu il Coronavirus, nel suo caso, che ha permesso a questa grande azienda italiana di riprendersi il suo posizionamento e le emozioni a esso correlate, attraverso un sapiente uso della voce di Sofia Loren e del suo jingle più noto per tornare a far fiorire la sua italianità, in un video promozionale che ha conquistato il mondo (oltre ad aver pubblicato i nomi di tutti i dipendenti sulla carta stampata in una campagna nata per ringraziarli degli sforzi di questo periodo).
Perché creare un Brand?
Una marca solida, un Brand Positioning a regola d’arte hanno influenze fortissime sull’andamento delle vendite, del LTV, ovvero del valore del cliente nel tempo e sul passaparola che i clienti possono innescare, fino a creare figure importantissime come quella del Brand Ambassador o Brand Evangelist, che diffondo il Brand sul mercato, per passione e “credo”.
Brand Ambassador e Brand Evangelist
Sono due sinonimi che definiscono il ruolo di clienti che sono così fidelizzati da rendersi portavoce del brand. Oggi, forse, in alcuni casi, li chiameremo Influencer, se vogliamo un po’ a sproposito.
Il Brand Evangelist, prendendo le fila dalla figura dell’evangelista che “diffonde il verbo”, propaga nel mercato il suo credo nei confronti del Brand. È un ambasciatore, che si sente quasi parte dell’azienda, senza esserne stato assoldato direttamente. In una strategia di marketing ben strutturata, la vera sfida è individuare chi siano queste figure, non andando a pescarle nel calderone degli Influencer dei social media, che spostano la loro banderuola a seconda del Brand che più riconosce loro benefit e contratti, ma direzionandosi al proprio interno, alla scoperta di quegli Influencer, anche micro, che conoscono l’azienda perché l’hanno provata e non perché sono stati indotti a farlo. Si tratta dei clienti del nostro database, di chi ci segue da anni, ma talvolta, con azioni di marketing interno, anche di dipendenti e collaboratori che si sentono fortemente parte della squadra.
Una delle sfide dei giorni nostri è trasformare i nostri dipendenti in Brand Ambassador, in quanto, se il Brand vuole diffondere la propria value, il proprio valore, cosa c’è di meglio che lo raccontino quelli che lo vivono ogni giorno, anche dalle file apparentemente più basse dell’azienda? I Nutella Biscuits, di Ferrero, sono stati presentati proprio così: le famiglie degli operai li hanno raccontati. Andando indietro nel tempo, già Giovanni Rana, uno dei primi imprenditori a mettere la faccia per la propria azienda, ha coinvolto i suoi operai nelle campagne pubblicitarie, come testimonial e Brand Ambassador. Quanto diventa credibile un’azione del genere sul mercato o per creare la giusta Brand Image? Tantissimo!
Le Strategie di Marketing, anche online, invece di andare a focalizzarsi su azioni creative tout cur, dovrebbero spingersi proprio in questa direzione e lo dovrebbero fare a maggior ragione nei momenti di difficoltà.
Brand come Back
Una Marketing Strategy ben disegnata e vincente si costruisce su un Brand solido e capace di lavorare in modo olistico con tutti gli asset aziendali. In momenti di crisi di mercato o nella fase di costituzione dell’azienda, il Brand è il punto di partenza fondamentale. Al di là di quello che può essere la filosofia No Logo o di quanto si sia detto intorno alle multinazionali e all’etica delle marche, i Brand oggi devono affrontare una nuova sfida, quella della coerenza e dell’impegno verso se stessi e verso i propri clienti.
Strategie di Brand Positioning che abbiano tenuto conto della Value Proposition e dei fondamenti strategici nati dall’analisi del mercato, della concorrenza e della storia aziendale, hanno concesso e concedono di disegnare un percorso che, partendo dall’identità, finalizza messaggi e azioni sostenendole nel tempo, perché la Strategia di Marketing parta dall’effettivo posizionamento e porti l’azienda o il prodotto a installarsi nella mente del cliente, rafforzando nel tempo le vendite e i ritorni sul mercato.
Bibliografia utile:
- A brand is a name, term, design, symbol or any other feature that identifies one seller’s good or service as distinct from those of other sellers. ISO brand standards add that a brand “is an intangible asset” that is intended to create “distinctive images and associations in the minds of stakeholders, thereby generating economic benefit/values.” (https://www.ama.org/the-definition-of-marketing-what-is-marketing/)
- Keller, Busacca, Ostilio, La gestione del brand, Egea
- Gaetano Grizzanti, Brand Identikit, Trasformare un marchio in una marca, Fausto Lupetti Editore
- Alexander Chernev, Strategia e Valore, le scelte del marketing strategico, Pearson
- Marco De Veglia, Zero Concorrenti, ROI Edizioni
- Adam Morgan, Eating the big fish, AdweekMedia
- Jack Trout, Differenziarsi per sopravvivere alla competizione e avere successo, Franco Angeli
- Mario Magagnino e Marneo Serenelli, Progetto Comunicazione, Editrice Padus Cremona
- Alessandro Sportelli e Manuel Faè, Il succo del Web Marketing, Il Giardino dei Libri
- Gabriele Calvi, in Socialtrends, n. 56 aprile 1992