Nei lunghi mesi della pandemia da coronavirus, la situazione delle imprese italiane è cambiata in modo strutturale. Come può aiutarci il marketing?
Ci sono imprese che hanno semplicemente chiuso, per impossibilità di fare altrimenti, e stanno pazientemente attendendo la possibilità di riaprire. Ce ne sono altre che in questi mesi hanno prosperato, aumentando i volumi di vendita e raggiungendo fatturati mai visti prima.
Tutte, però, hanno qualcosa in comune: la necessità di pensare al dopo, a quando la situazione dei contagi tornerà a livelli vicini allo zero e si potrà fare i conti con una ripartenza che non avrà per niente il sapore del “tutto come prima”.
Mercato dopo il Coronavirus: come cambierà?
Rispondere oggi alla domanda su quali cambiamenti conosceranno i mercati dopo mesi di chiusure, smart working, consegne a domicilio dei beni di prima necessità è quasi impossibile, ovviamente. Persino fare delle ipotesi potrebbe essere poco sensato. Proviamo però a formulare delle considerazioni basate su dati certi, per immaginare come potranno influenzare il prossimo futuro.
Ecommerce e Covid: parliamo di commercio elettronico
Quando parliamo di mercato nell’epoca del coronavirus, non possiamo non pensare all’e-commerce. Il mondo precedente al COVID19 era caratterizzato da strategie ibride. Persino i grandi e-commerce come Amazon stavano iniziando a introdurre modelli di business ibridi (come i negozi Go, ad esempio) per intercettare una clientela ancora riottosa quando si trattava di acquistare online. Con il Coronavirus è cambiato tutto: già a marzo 2020 il 75% delle persone che aveva acquistato online non lo aveva mai fatto prima, secondo una ricerca pubblicata all’epoca da Netcomm. Si trattava, ovviamente, di una necessità, che per molti settori di mercato è diventata però un’abitudine. In che modo reagire?
La filiera produttiva
La filiera produttiva ha subito delle mutazioni estremamente importanti. Fino pochi mesi fa, era del tutto normale che le aziende operassero sul mercato internazionale, acquistando materie prime all’estero (soprattutto in Asia) e delocalizzando parte della produzione. Oggi questo paradigma sembra difficilmente replicabile: il cosiddetto sistema globale ha trovato il suo limite evolutivo in un mercato che si è rivelato fragile, pronto a disgregarsi al primo segnale di crisi. In Italia la mancanza di produzioni quali presidi medici o componenti tecnologiche hanno reso immediatamente manifesta la dipendenza delle nostre imprese dal mercato internazionale – ieri con le mascherine e i presidi medici, oggi con i vaccini. Domani, l’industria italiana sarà ancora la stessa?
Il target e le marketing personas
Ogni imprenditore oggi ritiene di conoscere alla perfezione il proprio target. Qualcuno lo conosce davvero: ha fatto delle analisi, verificato le motivazioni di acquisto, segmentato opportunamente il proprio mercato per definire il suo cliente ideale, posizionato il Brand, attivato i canali di acquisizione con un metodo rigoroso.
Vale ancora, tutto questo?
Potrebbe, ma non è certo. Recentemente, in una intervista rilasciata alla Harvard Business Review, il professor John Quelch ha spiegato come la psicologia del consumatore cambi radicalmente in tempi di recessione, tanto più se questa è causata da un episodio come la pandemia che sta attanagliando il mondo intero in questi ultimi, lunghi mesi. Questi cambiamenti portano mutazioni radicali negli schemi di segmentazione psicografica e comportamentale che abbiamo adottato in questi anni, e che potrebbero diventare del tutto obsoleti. Insomma, anche se fino a ieri conoscevi il tuo target,
Oggi la tua comunicazione d’impresa potrebbe essere completamente sbagliata.
La gestione del lavoro e la capacità di delega
Quanti di noi sono capaci di delegare? L’impresa italiana, soprattutto quella di dimensioni medio-piccole, è da sempre caratterizzata dalla scarsa capacità dei vertici di delegare i processi primari. Molti tra gli imprenditori italiani hanno sempre avuto due certezze: che i loro collaboratori non fossero in grado di sostituirsi a loro nel proprio lavoro, e che loro personale know-how fosse un bene da custodire gelosamente per evitare che diventasse preda della concorrenza. Nell’era dello smart working e delle riunioni commerciali su Zoom, però, non delegare vuol dire rallentare i processi al di sotto di qualsiasi soglia di scalabilità. Ecco allora che le aziende sono costrette a rivedere i propri processi interni, dedicando più ore alla formazione delle risorse per rendere efficienti anche nel lavoro a distanza. Un processo, questo, probabilmente senza ritorno.
Il contesto competitivo col Coronavirus
Il contesto competitivo rimarrà la più grande incognita in relazione al dopo pandemia. Di certo, ci aspetta una recessione importante, i cui effetti sono oggi solo mascherati, con perdite stimate in alcuni settori fino ad oltre il 30%. Questo stato di cose ci ha accompagnato per tutto il 2020 e probabilmente vedrà la sua scia protrarsi fino a tutto il 2021 e oltre. In questo contesto, mentre molte aziende chiuderanno e vedremo calare il potere di acquisto medio dei consumatori, saranno molti i bisogni che si tramuteranno in aspirazioni, mentre la competitività aumenterà a dismisura, con le aziende rimaste pronte a contendersi la poca domanda rimasta. La gestione della comunicazione di impresa, l’analisi dell’elasticità della domanda, il marketing di retention saranno fattori di successo irrinunciabili.
Uscita dal Coronavirus: tra crisi e opportunità
Secondo alcuni analisti, anche il 2021, come il 2020, potrà essere un anno di forti contrazioni dal punto di vista finanziario. Eppure, per la media impresa italiana Coronavirus potrebbe significare opportunità: miglioramento dei flussi di lavoro interni, ridefinizione degli obiettivi, digital transformation applicata al modello di business, adeguamento della comunicazione e revisione della filiera resteranno saranno le vere sfide per aumentare la redditività anche in tempi di crisi economica.
Il brand al centro
Da dove partire? Dal Brand, naturalmente. La Brand Equity rappresenta oggi il vero pilastro delle imprese. Chi negli anni passati ha posizionato correttamente il proprio brand, potrà utilizzare questa forza come fulcro attorno al quale ricostruire tutto il resto. Le imprese che si sono evolute dal mero ciclo produzione-distribuzione, costruendo il proprio baricentro intorno al marketing e all’ascolto del cliente (sia esso business o consumer) saranno in questo contesto più facilitate.
La vera opportunità: mettere tutto in discussione per ripartire più forti
Il Brand è probabilmente l’unico asset che non verrà messo in discussione nel mercato post-coronavirus. Tutto il resto – le analisi strategiche, le modalità di comunicazione, i canali, i prezzi, persino il rapporto con i fornitori, insomma tutto ciò che ha caratterizzato l’impresa in quanto tale nell’epoca che si è chiusa nel 2019 – potrebbe già domani rivelarsi obsoleto. E allora sarà necessario che ogni impresa approfitti di questo periodo di riflessione forzata per rivedere tutti i propri flussi interni fin dalle fondamenta, a partire dalla value chain fino allo stesso modello di business, per chiedersi:
domani sarà ancora tutto come ieri, o sarà necessario dotarsi di nuovi strumenti, di nuove metriche, di un nuovo asset strategico per comunicare la propria proposta di valore in un mondo totalmente nuovo?
La risposta, ne siamo certi, non potrà che essere positiva.