Parliamo di Business Intelligence. Che cos’è, come utilizzarla

Business Intelligence

Che cos’è la Business Intelligence? In cosa consiste e come la si utilizza all’interno delle aziende?

Business Intelligence: cos’è?

Business Intelligence è un termine che ricorre spesso nel nostro blog; oggi cercheremo di approfondirlo, partendo dalla definizione che ce ne dà Wikipedia:

Con la locuzione business intelligence (BI) ci si può solitamente riferire a:

  • un insieme di processi aziendali per raccogliere dati ed analizzare informazioni strategiche;
  • la tecnologia utilizzata per realizzare questi processi;
  • le informazioni ottenute come risultato di questi processi.

Cerchiamo di capire al meglio, quindi, di cosa si tratta e quali sono i punti a cui prestare maggiore attenzione quando si predispongono i processi che danno il via all’utilizzo della BI all’interno delle aziende.

 

La Business Intelligence come creazione di valore

Per capire meglio in cosa consiste la Business Intelligence, ma soprattutto come mai è necessaria, ci possiamo rifare al concetto di catena del valore, ovvero una serie di attività che danno un output di valore maggiore rispetto alla somma degli input.

In questo caso, ci si muove all’interno del processo decisionale.  L’input sono i dati che l’azienda raccoglie; la Business Intelligence  è quel processo che, partendo da dati grezzi, consente la loro analisi e li trasforma, quindi, in informazioni utili ad effettuare azioni data driven.

Queste, a loro volta, danno un vantaggio competitivo all’impresa rispetto al mercato di riferimento.

La Business intelligence è, quindi, quel processo che trasforma i dati grezzi, le informazioni, in effettiva conoscenza, consentendo quindi di operare le scelte migliori e trasformandosi di conseguenza in un vantaggio di mercato effettivo per l’azienda.

 

Il ruolo degli strumenti di raccolta dati

Come già dovrebbe essere chiaro, quindi, è importante distinguere in modo molto netto tra la BI e gli strumenti per la misurazione e la raccolta dei dati.

Parlando di marketing online, ad esempio, viene spontaneo pensare a Google Analytics; ma Google Analytics (come Yandex Metrica o qualsiasi altro sistema di web analytics) non è un tool di data intelligence; è semplicemente una delle possibili fonti di dati.

 

Un processo di Business Intelligence completo come prima cosa raccoglie di dati da diverse fonti, integrandole tra loro per raggiungere una percezione più ampia e completa possibile dell’attività di impresa:

  • I dati provenienti dalle web analytics;
  • I dati provenienti dai motori di ricerca (ad esempio, Google Search Console);
  • I dati provenienti dalle piattaforme di advertising (Google Ads, FB Ads, eccetera);
  • I dati provenienti dai social media (Facebook insight, Twitter analytics, eccetera);
  • I dati provenienti dalle piattaforme di marketing automation (SendinBlue, Klaviyo, eccetera);
  • I First Party Data, ovvero i dati provenienti dal proprio customer database.

I First Party Data possono essere molto estesi, a seconda del tipo di attività. In una e-commerce avremo il CMS con gli ordini dei prodotti; avremo poi il database del magazzino, o quello del customer care; i dati che provengono dalla contabilità e altro ancora.

 

La Business intelligence è quindi un sistema che raccoglie tutti questi dati, li integra tra loro e produce come output una reportistica che consente all’azienda di verificare l’andamento in tempo reale, fare confronti con il passato, segmentare le informazioni.

 

Dai Big Data agli Small Data

Tutto il processo della Business Intelligence, in un certo senso, è un processo di riduzione, asciugatura, estrazione per passare dai Big Data (l’ampia mole di dati raccolti dall’azienda, ma sostanzialmente inutilizzabili nella loro forma originaria) fino a pochi indicatori, pochi KPI che possono effettivamente essere utili per il management.

La Business Intelligence è, quindi, un antidoto a un problema dei nostri giorni: quello della Data Obesity.

Si indica con questo nome la tendenza a presentare reportistiche complesse, estremamente ricche di dati, ma sostanzialmente inutili proprio perché non consentono di identificare sintesi efficaci, chiare, dei fenomeni in corso.  Talvolta è lo stesso management che richiede agli analisti una serie infinita di dati, anche per incapacità di scegliere quelli che sono effettivamente utili ai propri scopi.

La tecnologia, infatti rende semplice raccogliere questi dati; se il processo non è tenuto sotto controllo, però, anziché maggiore informazione utile si otterrà solo caos.

Un processo di BI ben costruito invece parte dalla necessità di identificare quali sono gli ambiti da indagare, gli indicatori da tenere sotto stretto controllo, e si concentra quindi sull’ottenere un quadro affidabile e intellegibile di come si stanno muovendo l’azienda e il mercato.

Martin Lindstrøm parlò di questo problema nel 2016, nel suo Small Data: the Tiny Clues that Uncover Huge Trends. Come chiarito fin dal titolo, Lindstrøm contrappone gli Small Data ai Big Data e identifica in essi la chiave per cogliere gli indizi realmente utili per prendere le decisioni migliori per l’azienda.

 

Data Obesity: tutto è misurabile, non tutto deve essere misurato

Un’azienda, per sua natura, è un ente economico e quindi strettamente connaturato all’idea della misurazione delle sue performance: dai ricavi ai costi, dalle tempistiche alle movimentazioni del magazzino.

Il fatto che tutto sia misurabile non significa però che tutto debba essere misurato:  altrimenti si ricade nella trappola della Data Obesity.

Il ruolo degli esperti di marketing o di analisi quantitativa dovrebbe essere anche guidare l’impresa nel capire quali sono quegli indicatori che sono realmente utili da conoscere.  Spesso sono indicatori complessi, non scontati da costruire.

Generalmente, si usano dati assoluti quando di parla di Lag Indicators (indicatori di performance rivolti al passato), mentre si parla di rapporti tra grandezze per i Lead Indicators (ossia quelli che identificano un trend: numero di ordini per giorno, fatturato per ordine, rapporto tra la crescita di questo mese e il mese scorso…).

L’obiettivo è riuscire a sintetizzare una serie di informazioni complesse e presentarle in una forma intellegibile alla proprietà e al management dell’azienda.

Il tema della Business Intelligence si intreccia quindi con quello del Data Storytelling: i pochi dati effettivamente significativi, dopo essere stati selezionati ed estrapolati con attenzione, devono essere presentati in forma chiara ai responsabili dell’azienda, che non sempre hanno una formazione di tipo statistico e possono quindi avere difficoltà a interpretare un dato non presentato in modo adeguato.

 

Conclusioni

Oggi raccogliere informazioni è molto facile e le aziende si ritrovano ad avere, nei loro archivi, moltissimi dati provenienti dalle fonti più disparate: dalla web analytics ai dati delle vendite, fino ai dati della contabilità o del magazzino.

Tutti questi dati sono, però, sostanzialmente inutili se non si riesce a selezionare, aggregare, lavorare questa enorme mole di numeri fino ad ottenere pochi indicatori effettivamente significativi degli andamenti aziendali e che possono essere di supporto alle decisioni del management aziendale.

È questo il processo della Business Intelligence; un processo tutt’altro che banale e che non si esaurisce (come a volte qualcuno crede) nel semplice utilizzo di strumenti di web analytics.

Quando svolto correttamente, la Business Intelligence fornisce un vantaggio competitivo all’impresa che se ne avvale.

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