Le analisi di mercato sono appannaggio delle grandi aziende, o comunque di quelle disposte a investimenti di molte decine di migliaia di Euro? Fortunatamente, non più.
Tra i tanti vantaggi della vendita online ce n’è uno che è ancora poco sfruttato dai brand, ma che può in realtà essere un aiuto straordinario nel definire le strategie di marketing, la comunicazione, o persino la messa a punto dei nuovi prodotti. Ci riferiamo proprio alla possibilità di interrogare direttamente i clienti per ricavare informazioni preziose in modo più economico e semplice di quanto avvenisse solo 10 anni fa.
Si tratta, in estrema sintesi, di uno dei vantaggi della disintermediazione che si ottiene quando un brand inizia a vendere direttamente i propri prodotti online, acquisendo quindi di prima mano i dati e i contatti della clientela finale. Saper sfruttare al meglio questi contatti, vero e proprio tesoro di ogni azienda, può portare a effetti positivi tutt’altro che scontati, incluso un notevole aumento del lifetime value di ogni cliente.
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Vediamo quindi come fare questo tipo di analisi e come trarne vantaggio.
La disintermediazione: quando il produttore diventa il primo distributore
Gli e-commerce sono un fondamentale strumento di disintermediazione per i brand, che ‘possono entrare in contatto diretto con il cliente finale anziché interfacciarsi esclusivamente con distributori e negozi. Con la disintermediazione si assiste anche a un fenomeno di ibridazione del produttore, che diventa anche il distributore primario dei propri prodotti.
Il primo vantaggio che l’azienda ne ricava è, ovviamente, l’aumento della marginalità: a parità di prezzo (e solitamente il prezzo al cliente resta lo stesso) infatti, non deve retribuire gli intermediari. Ma non è appunto il solo vantaggio…
Attraverso il proprio e-commerce, infatti, i brand oggi hanno la possibilità di acquisire informazioni rilevanti sul proprio mercato. O, meglio, su una parte di esso: sulla clientela più fidelizzata, quella che si rivolge direttamente a loro e che rappresenta il target principale, il tesoro più prezioso di ogni impresa.
Queste informazioni generalmente sono di natura anagrafica: nome, cognome, indirizzo… eppure basta poco, molto poco per raccogliere un’immagine molto più sfaccettata e interessante degli stessi soggetti. Ad esempio, sottoporgli una vera e propria survey strutturata.
Queste operazioni, se fatte sulla propria clientela, hanno un costo decisamente inferiore rispetto a una ricerca di mercato su grande scala.
Infatti, nel caso di una ricerca esterna dovremmo considerare:
- Il costo relativo alla acquisizione dei dati: ad esempio, l’acquisizione dei nominativi e la loro ricompensa (che si tratti di un omaggio o di un panel a pagamento), la creazione del survey, gli strumenti di raccolta dei dati.
- Il costo riferito alla strutturazione dell’analisi e dei report, che devono essere svolti con estrema attenzione. Arrivare a risultati fuorvianti a causa di un’analisi superficiale delle risposte a un questionario è, infatti, un problema molto più comune di quanto si creda.
Rivolgersi a una lista di nominativi già di nostra proprietà, per di più composta da nostri clienti anziché da soggetti casuali, si traduce in un risparmio di migliaia e migliaia di Euro.
La possibilità di interrogare persone che già conoscono e utilizzano i nostri prodotti permette di fare domande più specifiche, mirate, aprendo a possibilità di indagine decisamente interessanti.
Verificare posizionamento e strategie di comunicazione tramite l’analisi di mercato
Effettuare indagini sul proprio database permette di indagare il proprio target dal punto di vista anagrafico, socio-culturale e di posizionamento economico, ma soprattutto capire quali sono i comportamenti di acquisto e i fattori di attrattività del proprio prodotto e del proprio brand, oppure i punti critici.
Quando fanno le loro analisi SWOT, molto spesso le aziende si appoggiano a congetture più che a dati di fatto sui quali hanno un riscontro oggettivo. Lo stesso si può dire quando si parla di posizionamento di mercato: l’azienda ne persegue uno, ma non è facile capire quali sono i risultati di questi sforzi.
Una survey adeguata sottoposta alla propria clientela permette di far emergere questi elementi con forza e con chiarezza.
- La clientela apprezza realmente quelli che proponiamo come nostri punti di forza? Li ritiene effettivamente importanti?
- Vi sono aspetti del prodotto molto apprezzati, ma che avevamo trascurato nella copy strategy?
- Quali sono i problemi e le criticità che il cliente percepisce, e che stiamo trascurando? Come potremmo risolverle?
Grazie a informazioni di questo tipo diventa possibile impostare una strategia di marketing più efficace o intervenire direttamente a livello di offerta, per migliorarla.
Si può, inoltre, capire se la comunicazione pregressa è stata efficace e se il pubblico ha effettivamente recepito ciò che si voleva trasmettere. In altre parole, se la brand identity che l’azienda sta provando a costruire e il percepito del cliente (brand image) coincidono oppure no.
Ad esempio, non molto tempo fa un nostro cliente che opera a livello internazionale ci ha chiesto una verifica: voleva capire se la sua clientela percepiva l’italianità del brand (aspetto che rappresentava un punto di forza per lui), oppure no.
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Segmentazione della Clientela
Conoscere bene la propria clientela permette di fare anche un’altra operazione fondamentale per un marketing migliore: segmentarla nel modo corretto.
Segmentare significa poter indagare e comprendere le abitudini d’uso e di acquisto di ciascun segmento, capirne il potenziale e costruire per ciascuno di essi delle iniziative mirate, anche se siamo nell’ambito di una piccola o media azienda.
Con una buona segmentazione possiamo definire inoltre qual è il cliente ideale al quale rivolgerci, e interrogarci se possiamo attuare strategie specifiche per far passare un cliente da un segmento a basso valore (ad esempio, legato a un utilizzo sporadico del prodotto) a un segmento per noi più interessante.
Questo genere di analisi ci permette di comprendere meglio su quali soggetti il brand è in grado di avere una maggiore attrattività e anche di fare analisi comparative con la concorrenza, evidenziando similarità e differenze nel posizionamento.
Gli e-commerce più importanti riescono a creare una comunicazione personalizzata attraverso algoritmi raffinati; una realtà più piccola non può farlo, ma può (e anzi dovrebbe) strutturare la comunicazione per cluster di clientela.
Quanti nominativi servono per un Survey efficace?
Costruire un survey efficace non è comunque scontato.
Le domande devono essere ben studiate e poste nella forma corretta, così da non influenzare inavvertitamente la persona sottoposta al test. Devono essere poi in grado di far emergere dati reali, limitando la possibilità che in qualche modo chi sta rispondendo al test menta (ebbene sì: le persone mentono anche nei test anonimi, per molti motivi che hanno a che fare, di solito, con l’immagine che hanno di sé stessi).
Non a caso la redazione di una survey efficace è solitamente demandata a psicologi e sociologi e non può assolutamente essere sottovalutata, o si rischia di ottenere dati fuorvianti.
Rivolgendoci a clienti già acquisiti si può però ottenere un vantaggio rispetto ai test somministrati a un campione della popolazione generale: possono bastare molti meno partecipanti al test per raccogliere dati sufficienti a supportare una strategia.
In passato, ad esempio, abbiamo realizzato un survey per una start-up. Le risposte erano appena una sessantina; tuttavia avevamo notato che ne uscivano dati molto polarizzati (circa il 70% del campione aveva risposto in modo omogeneo) e abbiamo quindi deciso di considerare tali risultati come affidabili e di usarli come base per raffinare la strategia di marketing dell’azienda.
A distanza di un anno e mezzo abbiamo ripetuto la stessa identica ricerca, con le stesse domande, raccogliendo molte più risposte: dalle 60 della prima volta, eravamo passati a circa 600.
Nonostante questo, rispetto al survey precedente i risultati sono oscillati di appena il 2%, all’incirca.
Anche su numeri piccoli, in altre parole, si possono ottenere in alcuni casi dati sufficientemente precisi.
Conclusioni: aumentare il Lifetime Value
La migliore conoscenza del cliente, la sua segmentazione in gruppi omogenei, la possibilità di mettere in campo una comunicazione più mirata sono sicuramente utili per attrarre nuova clientela in target. Il vantaggio maggiore, tuttavia, potrebbe essere un altro, ovvero la possibilità di aumentare sensibilmente il lifetime value dei clienti acquisiti:
- Spingendo sull’upselling, una volta comprese le motivazioni all’acquisto del cliente.
- Stimolando il riacquisto, in particolare se le azioni di marketing sono targettizzate sui diversi segmenti di clientela.
Non si tratta quindi solo di fare una comunicazione migliore per attrarre nuovi clienti, ma anche e soprattutto di sfruttare al meglio quelli che sono già nel CMR dell’azienda. L’aumento del lifetime value, a sua volta, ci spinge a considerare in modo diverso l’investimento in comunicazione, che ha ricadute molto più ampie e durature di quanto talvolta si pensi.
Un brand che sa come gestire un cliente e aumentarne il valore nel tempo potrà permettersi anche di spendere di più per acquisirlo e gestirlo, avviando e sostenendo un ciclo virtuoso di crescita.