Non puoi fare Marketing senza la Teoria del Prospetto: ecco perché

Che cosa guida la scelta dei consumatori, o degli investitori, o di qualsiasi altro operatore economico? A prima vista, si potrebbe rispondere che si muovono in modo da massimizzare il loro valore, secondo quanto indicato dalla Teoria dell’Utilità Attesa.

In realtà il comportamento umano è molto più complesso: la Teoria del Prospetto ci permette di focalizzare il ruolo dell’irrazionalità, il ruolo di elementi come il framing e, in ultima analisi, di costruire proposte più efficaci.

Il marketing, per sua stessa natura, lavora spesso su teorie che sono state elaborate in ambito psicologico e la Teoria del Prospetto rientra tra queste.

Essa è stata formulata da due psicologi, Daniel Kahneman e Amos Tversky, ed ha avuto una eco così forte che nel 2002 Kahneman è stato insignito del premio Nobel per l’economia «per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d’incertezza».

La Teoria del Prospetto indaga il modo con cui gli esseri umani elaborano le loro scelte e decisioni nei più svariati contesti, partendo da quelli di incertezza. Si distacca dalle teorie classiche perché mette in evidenza aspetti irrazionali, eppure perfettamente prevedibili.

L’operatore marketing che vuole costruire o presentare un’offerta nel modo più efficace e massimizzare le probabilità di acquisto per il proprio prodotto, quindi, può trovare nella Teoria del Prospetto un aiuto estremamente efficace.

La teoria classica: l’Utilità Attesa e i suoi limiti

L’economia classica, in generale, si basa sull’assunto che gli operatori del mercato siano razionali.

La Teoria dell’Utilità Attesa muove da questa premessa e postula di conseguenza che il decisore si muova sempre in modo da massimizzare il proprio guadagno.

In molti ambiti (e con una certa approssimazione) questo può essere vero: di fronte a due fornitori che mi propongono prodotti uguali o equivalenti, tendenzialmente acquisterò quello con il costo più basso; la scelta che mi permette di guadagnare di più o di perdere meno sarà tendenzialmente quella preferita.

Il mondo reale, però, difficilmente propone quesiti così semplici. Di solito ci si muove in condizioni di incertezza anche solo parziale, oppure si deve scegliere tra prodotti difficilmente comparabili.

Proprio dall’analisi dell’incertezza prende avvio la ricerca di  Kahneman e Tversky. Ipotizziamo ad esempio queste due situazioni:

– A: posso ricevere 50 Euro con sicurezza

– B: ho il 50% di probabilità di guadagnare 100

In questo caso, le due opzioni matematicamente si equivalgono. Quale sarà la scelta della maggior parte delle persone?

La Teoria del Prospetto si propone di indagare l’incertezza e le conclusioni a cui arriva vanno ben oltre quello che si potrebbe pensare restando in un’ottica di decisione razionale.

La Teoria del Prospetto di Kahneman e Tversky

Verso la fine degli anni ’70, i due psicologi Daniel Kahneman e Amos Tversky arrivano a postulare una nuova teoria sullo svolgimento dei processi decisionali. La Teoria del Prospetto non è solo un costrutto teorico: al contrario, è sostenuta da ricerche ed esperimenti ripetuti, che hanno permesso ai due di documentare l’irrazionalità delle scelte e indagarne certi pattern ricorrenti.

Per illustrarne i risultati presentiamo i tre principi cardine, che smontano del tutto la teoria decisionale classica:

L’avversione alle perdite

La percezione di guadagni o perdite potenziali non è la stessa; il rischio di perdere 100 è percepito in modo più forte e netto rispetto a quanto non lo sia la possibilità di guadagnare 100, anche se la perdita fosse solo potenziale e non reale. Potremmo facilmente accettare un guadagno inferiore, se associato a un minore livello di rischio.

Non solo: la sensazione di rabbia o frustrazione di fronte alla perdita di 100 (effettiva, o prevista, o solo paventata) sarà molto maggiore rispetto alla contentezza o gratificazione per il guadagno dello stesso importo.

Chi si occupa di comunicazione, in qualsiasi ambito, sa bene che è più facile fare leva sull’ansia per una presunta perdita rispetto alla soddisfazione per un guadagno.

 L’effetto di isolamento

L’effetto di isolamento avviene quando il decisore si trova di fronte a decisioni complesse, che possono portare a diversi risultati potenziali e con diverse probabilità. Molte delle decisioni in campo economico, in effetti, riguardano azioni complesse, che hanno effetti molteplici.

Un operatore razionale dovrebbe affrontare la scelta con un approccio globale, soppesando e valutando probabilità ed effetti di ciascuna azione. In realtà, la mente umana agisce in modo differente. Tende a una sorta di semplificazione: considera solo gli elementi che ritiene più rilevanti, ignorando le altre componenti della scelta. Isola, quindi, alcuni elementi e si concentra solo su di essi; si tratta di un processo più semplice da gestire a livello mentale, ma sicuramente meno efficace.

Ad esempio, confrontando prodotti con caratteristiche molto diverse, il decisore non farà un’analisi approfondita soppesando tutte le differenze, ma si concentrerà su 3-4 elementi che considera più importanti.

Chi lavora nella comunicazione sa che è meglio concentrarsi nella presentazione di pochi punti di forza, piuttosto che perdersi in ogni dettaglio del prodotto.

L’effetto contesto

L’effetto contesto indica che il framing all’interno del quale viene presa la decisione ha un’importanza determinante. Si tratta, in un certo senso, di una conseguenza delle caratteristiche precedenti: a seconda che si valuti il problema dal punto di vista delle potenziali perdite o dei potenziali guadagni, ad esempio, si arriverà a conclusioni diverse.

Un esempio pratico

Come già scritto,  Kahneman e Tversky hanno compiuto diversi esperimenti per evidenziare i processi di scelta. Vi propongo qui uno dei loro test più famosi, basato su due diversi quesiti; provate a rispondere, sono sicuro che i risultati vi stupiranno.

PROBLEMA 1:

Una malattia mortale sta imperversando per il paese, e gli epidemiologi stimano che mieterà 600 vittime. Gli scienziati propongono due programmi alternativi per combatterla; ma quale dei due scegliere? Prova a rispondere.

  • Con il programma A, 200 persone si salveranno.
  • Con il programma B, c’è un terzo di probabilità che 600 persone si salvino, ma due terzi di probabilità che nessuno si salvi.

Cosa hai scelto?

Probabilmente la tua risposta è stata A: è quello che ha risposto ben il 72% dei soggetti che hanno partecipato all’esperimento di  Kahneman e Tversky. D’altronde, come accettare due terzi di probabilità che nessuno si salvi?

PROBLEMA 2:

Lo scenario è lo stesso, ma le opzioni sono diverse:

  • Con il programma C, 400 persone moriranno.
  • Con il programma D, c’è un terzo di probabilità che tutti si salvino, ma due terzi di probabilità che 600 persone muoiano.

Cosa scegli?

Questo problema è stato presentato a un gruppo diverso rispetto al precedente, e stavolta ben il 78% dei partecipanti ha scelto l’opzione D. La possibilità di perdere con sicurezza 400 vite è sembrata intollerabile.

Avrete capito che le quattro opzioni sono, in realtà, perfettamente equivalenti dal punto di vista matematico: mettere l’accento sulle perdite o sulle persone che si sarebbero salvate ha però fatto pendere la bilancia in modo decisivo, facendo sembrare preferibile l’opzione sicura nel primo caso, e l’incertezza nel secondo.

Raccontare il problema in modo diverso è bastato ad orientare le scelte di oltre il 70% dei soggetti intervistati.

La distorsione della percezione

Gli studi legati alla Teoria del Prospetto hanno portato ad evidenziare altre distorsioni cognitive che entrano in gioco.  Ad esempio, le probabilità.

Le persone non hanno inoltre una valutazione oggettiva delle probabilità: tendono a sopravvalutare gli eventi più probabili e sottovalutare quelli che lo sono meno. In altre parole, di fronte a un evento con probabilità 75% e un altro, alternativo, con probabilità 25%, la maggior parte delle persone considererà il primo come quasi sicuro.

C’è poi l’effetto “ancoraggio”: mentalmente, tendiamo a confrontare le grandezze in gioco cercando appigli per le nostre valutazioni. Inutile dire, però, che questi appigli aggiungono ulteriori elementi di irrazionalità alla scelta.

È il classico fenomeno del prezzo nominale alto, ma scontato, che ci attira di più rispetto a un prezzo finale equivalente.

Come si vede, gli studi di  Kahneman e Tversky sono una vera miniera d’oro per i brand che devono decidere come presentare i propri prodotti e le proprie offerte; veri e propri classici da leggere e approfondire per migliorare le proprie azioni di marketing.

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