Quando le aziende chiamano un consulente di marketing esterno, possono farlo per motivi diversi.
Spesso cercano competenze che non hanno internamente, ad esempio perché devono confrontarsi con mercati nuovi; è un caso molto frequente, ad esempio, tra le aziende che si affacciano alla vendita online oppure che vogliono raggiungere mercati esteri.
Altre volte è perché cercano un confronto e un aiuto per verificare le strategie adottate e valutarne di nuove; in altri casi, infine, i ritmi serrati di lavoro all’interno dell’ufficio marketing impediscono di prendere il tempo necessario alla parte più strategica del lavoro e quello che serve è quindi qualcuno che si concentri sugli aspetti solitamente trascurati.
In tutti questi casi, la relazione tra consulente e azienda deve svolgersi in modo corretto affinché renda al massimo delle sue potenzialità. In questo articolo parleremo proprio del modo migliore per impostare la nuova collaborazione, evitando alcuni problemi che purtroppo, per nostra esperienza, tendono a essere ricorrenti.
Aiuto! Arriva il Consulente di Marketing…
L’arrivo di un consulente all’interno dell’azienda rappresenta una scossa molto forte nella routine aziendale.
È un pattern che ormai conosciamo molto bene: l’azienda, e in particolare il suo dipartimento marketing, vive questo arrivo con una frenesia che la porta a mettere sul piatto mille progetti, obiettivi, idee che erano state accantonate spesso per mancanza di tempo.
Una frenesia che si concentra, generalmente, sugli aspetti tattici del lavoro di marketing. E così, paradossalmente, si perde il focus sulla parte strategica della consulenza: quello che, invece, dovrebbe avere la priorità.
Da una parte c’è la fretta nel voler vedere risultati immediati. Non è facile, per l’imprenditore, accettare che un percorso di consulenza efficace deve necessariamente partire da una conoscenza approfondita dell’azienda e che questa conoscenza, banalmente, richiede tempo.
Dall’altra, subentra una sorta di volontà di mostrarsi proattivi anche agli occhi dello stesso consulente, sia da parte dell’imprenditore che del team che si occupa del marketing
Entrambe queste dinamiche sono assolutamente da evitare; al contrario, un’azienda che si rivolge a un esterno deve capire che i risultati della consulenza saranno migliori proprio se il consulente avrà modo di calarsi al meglio nel contesto dell’azienda.
Conoscere l’azienda e fare squadra
Uno dei problemi più comuni, dentro le aziende, è che l’ufficio marketing spende il proprio tempo e le proprie energie nelle attività operative o al massimo tattiche: dal sistemare le brochure al progettare il sito, fino al portare avanti le campagne su Facebook. Talvolta il suo lavoro è percepito come un mero supporto dell’ufficio commerciale, o poco più.
Come amiamo ricordare, invece, il marketing inizia dalla programmazione strategica e rappresenta una delle funzioni fondamentali dell’azienda.
La presenza del consulente obbliga l’azienda a recuperare il senso del marketing strategico. In questo senso, il consulente rappresenta un alleato formidabile di chi si occupa del marketing dentro l’azienda: può coprire quella parte del lavoro per cui non c’è mai tempo, e aiutare nella costruzione di strategie di ampio respiro.
Come già accennato, però, occorre tenere a bada la tentazione della ricerca di risultati immediati. Al contrario, il primo periodo in azienda rappresenterà sempre un periodo esplorativo:
- in cui osservare le dinamiche interne all’azienda e comprenderne il modo di lavorare;
- in cui studiare il prodotto e i mercati con estrema attenzione;
- in cui, eventualmente, sondare le diverse possibilità con piccole iniziative che avranno come scopo quello di testare il mercato e raccogliere informazioni, senza attendersi da esse il raggiungimento degli obiettivi di vendita.
Diventa importante, in questo periodo esplorativo, anche vivere l’azienda a livello fisico. Parlare con chi la compone, raccogliere i diversi punti di vista, respirarne l’atmosfera… tutto questo confluirà nel successivo piano di comunicazione.
Ad esempio, difficilmente un’azienda con un dress code rigido e un’atmosfera formale potrà presentarsi all’esterno con un tone of voice molto caldo e confidenziale. È un concetto base della Brand Equity: quello che l’azienda è, al suo interno, deve essere coerente con ciò che viene trasmesso a livello di comunicazione.
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Definire il periodo di Audit
Se l’azienda ha l’interesse a valorizzare il lavoro del consulente al massimo, il consulente da parte sua ha il dovere di guidare l’imprenditore e l’impresa anche nelle modalità in cui la consulenza si svolge.
Non a caso, quando prepariamo i nostri progetti inseriamo sempre un periodo di audit della durata di circa un mese o un mese e mezzo. L’audit è una fase essenziale del nostro lavoro proprio perché ci permette di entrare all’interno dell’organizzazione aziendale e dei diversi meccanismi che ne regolano il funzionamento.
Occorre capire che ciascuna azienda è un ecosistema a sé stante: ha un suo pensiero, una sua visione unica, che solitamente deriva da quella dell’imprenditore. Occorre respirarne l’aria, come già detto, ma anche imparare a conoscerne le caratteristiche e vedere come si svolgono i flussi di lavoro al suo interno. Parlare con le figure che gestiscono i diversi processi interni, capire come sono organizzati e come si svolgono…
La conoscenza (anche molto approfondita) di un certo mercato non può essere un motivo per ignorare quello che avviene all’interno dell’azienda perché è quest’ultimo che ne definisce le possibilità, i punti di forza e di debolezza. L’audit non è quindi un orpello, ma una vera necessità per chi vuole costruire strategie solide e di successo.
L’imprenditore deve prendere atto di questo e lasciare al consulente il tempo e lo spazio per svolgere al meglio il proprio lavoro.
In questo periodo, inoltre, non dovrebbero essere prese nuove iniziative di marketing: idealmente la funzione del marketing dovrebbe essere congelata in attesa di avere gli elementi necessari a costruire una strategia consapevole e di lungo respiro.
Chi sono i referenti del consulente in azienda?
Durante la fase di audit il consulente di marketing deve essere messo in grado di osservare e interagire con i dipendenti dell’azienda per comprenderne al meglio necessità e funzioni. Ma arriviamo adesso alla fase operativa e chiediamoci: come si rapporterà ai componenti del team? Chi sarà il suo referente, durante lo svolgimento del suo mandato?
Anche su questo punto, spesso, riscontriamo problemi che rischiano di influire negativamente sul lavoro.
La situazione ottimale si ha quando il consulente viene presentato a tutti, possibilmente in un incontro ufficiale, ma durante il suo lavoro avrà un unico referente dentro l’azienda (o al massimo uno per ogni area di responsabilità quando l’azienda è molto strutturata).
La presentazione al Team di Marketing
Il consulente non dovrebbe essere mai calato dall’alto, imposto con modalità che possono causare scontento e frustrazione.
Immaginiamo la situazione, molto frequente, di un reparto marketing bloccato sull’operatitivà per mera mancanza di tempo, non certo di competenze, e che si ritrova un consulente esterno chiamato dalla proprietà. È essenziale che lo percepisca come un alleato, non come una minaccia o una manifestazione di sfiducia nel proprio lavoro.
Creare il clima giusto per una buona collaborazione dipende molto dalle modalità in cui il consulente e il suo lavoro gli viene presentato e per questo il primo incontro va gestito in modo particolarmente attento.
L’individuazione di un referente unico
Durante il lavoro diventa poi molto importante che il consulente sappia con sicurezza a chi deve rivolgersi per avere informazioni, avanzare richieste, discutere delle opzioni di lavoro. Ed è importante, quindi, che questa persona sia qualcuno con le competenze e l’autorità per dare queste risposte.
Non individuare un referente sicuro (o, come già detto, almeno uno per funzione) equivale a lasciare il consulente in una situazione di caos e incertezza rispetto a ciò che può o non può essere fatto, detto, o che si vuole tentare come strada. È evidente che l’efficacia del suo lavoro non può che risentirne.
In conclusione…
Riepiloghiamo, quindi, quali sono le buone pratiche necessarie quando un consulente di marketing entra in un’azienda: quelle che il professionista dovrebbe fare sempre presenti, e l’azienda assecondare.
- Il lavoro di consulenza ha bisogno di una conoscenza approfondita dell’azienda: servono tempo e spazio per maturarla.
- Il lavoro di consulenza ha bisogno di collaborazione da parte del personale interno: occorre costruirla con cura, presentandolo come una risorsa e un aiuto e non come una conseguenza della sfiducia dell’imprenditore verso i propri dipendenti.
- Il lavoro di consulenza ha tanto più valore quanto più si concentra sugli aspetti strategici. È controproducente chiedere al consulente di riversare le proprie energie in mille iniziative a breve termine, magari slegate tra di loro, proponendo magari obiettivi non realistici.
Solo con queste premesse il consulente di marketing diventa la figura che permette, con il suo intervento, di far crescere il team a livello di competenze, individuare nuove strade, lavorare su KPI ambiziosi ma realistici, impostare strategie di comunicazione efficaci anche sul medio periodo e far crescere l’azienda, aiutandola a raggiungere i propri obiettivi.
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